Savoir faire

In altra parte di questo portale abbiamo riportato uno stralcio dell’intervista concessa a “Il Fatto Quotidiano” dal vice premier pentastellato il quale, richiesto dall’intervistatore di come il governo avrebbe sostituito i fondi, necessari per avviare i provvedimenti promessi, venuti a mancare dopo la riduzione dei saldi della legge di bilancio, concordati con la Commissione Europea, ha dichiarato: “Preleveremo molti più soldi dalle pensioni d’oro“; locuzione che nella forma esibisce un tono sprezzante, minaccioso, quasi punitivo, una sorta di “vae victis” (ricordate la spada di Brenno di liviana memoria?).

In altra epoca si usavano linguaggi meno offensivi; ma per questi nuovi governanti (“questi qua” come li definisce Filippo Ceccarelli, nel sottotitolo in un suo recente libro intitolato “Invano” per i tipi di Feltrinelli) “la buona educazione entra nel loro canone come puro optional se non come ex virtù da scartare” ( pag. 858).

Ma le c.d. “pensioni d’oro” non sono frutto di appropriazione indebita, (come l’aggettivo qualificativo indurrebbe a pensare rievocando alcuni celebri scandali della prima repubblica (lenzuola d’oro, carceri d’oro, ecc.)) e questo vale specialmente per quelle erogate dalle Casse Professionali privatizzate alle quali è inibito dalla legge di privatizzazione qualsiasi finanziamento pubblico, per cui i sistemi pensionistici da esse gestiti sono ad esclusivo carico dei rispettivi iscritti. In questo ambito il notariato si trova in una situazione del tutto particolare: il sistema che prevede pensioni uguali per tutti a parità di durata dell’esercizio professionale, già implica una contribuzione di solidarietà permanente endoprevidenziale (come si usa dire con terribile neologismo) per effetto della quale chi più ha versato si fa carico della pensione di chi ha versato meno; imporre al primo un ulteriore contribuzione a favore della previdenza altrui significa obiettivamente penalizzarlo due volte.

Nel merito, ciò che si potrà ricavare da questa imposizione semba non essere di grande rilevanza, come risulta da un interessante articolo pubblicato su Repubblica.it  che mostra una tabella in cui sono esposti, in dettaglio e per scaglioni di reddito, il numero complessivo dei percipienti assegni pensionistici pari o superiori a 8.532,14 euro lordi che corrispondono, grosso modo, a 5.388 euro netti. Da questa tabella risulta che i pensionati che fruiscono di assegni mensili pari o superiori a quegli importi sono in totale 19.562 per un importo complessivo lordo annuo di € 2.822.904.593.

In una trasmissione televisiva del 19/12/2018, andata in onda nel primo pomeriggio per l’emittente La7, una esponente pentastellata, dallo smagliante sorriso, ha dichiarato, tra l’altro mentre si parlava di reddito di cittadinanza e quota 100: “Ci tengo a sottolineare che si interverrà sulle pensioni d’oro per dare finalmente un poco di equità sociale in questo paese” ipotizzando di poter realizzare da questo provvedimento un miliardo di euro (la dichiarazione si trova al minuto 21.35 del video – ndr. è necessario attendere il termine della pubblicità dell’emittente); con una semplice operazione si può constatare che per ricavare la somma ipotizzata sarebbe necessario imporre una aliquota del 35,42% non sulla parte eccedente 4.550 euro netti mensili, ma sull’intero importo lordo totale delle c.d. pensioni d’oro: un taglio di oltre un terzo. Anche a volerlo spalmare sui 4 anni che restano di legislatura si tratterebbe sempre di una aliquota annuale di quasi il 9% sull’importo lordo; quindi su una pensione di 110.000 un taglio di 9.900 euro annui; va tenuto, inoltre, presente che il contributo essendo deducibile dal reddito comporta una minore entrata per irpef di circa 4.500 euro annui per un reddito di 110.000 euro, cosicchè il netto ricavo sull’importo considerato si ridurrebbe a circa 5.400 euro. È  vero, cime è stato detto che, per effetto della redistribuzione delle somme ottenute dal contributo di solidarietà a soggetti meno abbienti, si avrà un aumento del gettito fiscale ma questo si otterrà con applcazione di una aliquota minima, mentre la perdita sopra segnalata si ha su redditi gravati da aliquota massima.

Pertanto considerando, da un lato l’arroganza della forma, dall’altro la pochezza del contenuto, il sospetto di un intento punitivo è legittimo.