La notizia è che in sede europea si discute sulla possibilità di consentire la produzione di vino analcolico, così da esorcizzare il rischio di ubriacature.
Michele Serra su La Repubblica dell’8 maggio, le dedica un trafiletto nel quale ricorda che contro il rischio di ubriacatura esisterebbero altri rimedi come la rinunzia, la sobrietà, la misura, i quali, però non si addicono alla società dei consumi . Il trafiletto si conclude con un appello: “liberissimo, chi lo desidera, di produrre una bevanda alcolica a base d’uva. Ma non la chiami vino, quel nome è già assegnato”
Alla notizia dedica un suo commento anche Carlo Petrini su La Stampa, dello stesso giorno proponendo la stessa richiesta: “se questa operazione sarà fatta, che il distinguo, anche dal punto di vista del nome, sia ben chiaro e preciso così da non trarre in inganno il consumatore spacciando una cosa per quello che non è“.
Ma ai prodotti “senza” inconsciamente abbiamo fatto l’abitudine se si pensa al caffè senza caffeina, alle sigarette senza tabacco, al latte senza lattosio, ecc.
Il fenomeno non è sconosciuto nemmeno nel campo del diritto dove abbiamo la “società con unico socio” che, a ben vedere, almeno nella scelta del nome, costituisce un ossimoro, tenuto conto del fatto che i sostantivi “società” e “socio” avendo natura collettiva, mal si adattano ad essere utilizzati in un ambiente in cui la collettività risulta mancante per definizione; e non sono il solo a pensarlo: “Parlare di una società con un unico socio sembra quasi impossibile, perché il concetto di società implica la collaborazione tra più soggetti, che si mettono insieme per gestire un’impresa. Nella società unipersonale il soggetto è uno e sarebbe più corretto parlare di impresa individuale con responsabilità limitata“.