Sul bollettino della Cassa Nazionale del Notariato recentemente distribuito agli Associati sono riportati due interessanti grafici relativi agli onorari repertoriali, riferiti il primo all’anno 2005 ed il secondo all’anno 2015, che sebbene riprodotti in scale differenti, evidenziano delle rilevantissime differenze, che devono essere attentamente esaminate ed interpretate per potersi rendere conto dell’effettivo odierno “stato di salute” del Notariato italiano.
Ma a questo punto occorre andare per ordine e risalire pressappoco agli inizi degli anni ‘90, prendendo in considerazione le poche nuove competenze che ci sono state affidate e le molte che ci sono state sottratte o che sono state attribuite anche ad altri soggetti, unitamente ad altri improvvidi provvedimenti normativi che rischiano prima o poi di seppellire definitivamente il Notariato italiano.
Chiedo scusa se nell’elencarle non seguirò un preciso ordine cronologico, affidandomi alla memoria, ma il significato del discorso non cambia. Incominciamo dai provvedimenti dei precedenti governi di centro-destra, dei quali il principale artefice è stato Giulio Tremonti, persona che, a differenza di tanti altri che sono successivamente scesi in campo, sprovveduta del tutto certamente non era.
Rileviamo in primis la soppressione dell’obbligo della vidimazione dei libri contabili delle imprese. Si trattava di un’attività di fatto svolta in esclusiva dai Notai, per il semplicissimo motivo che erano i soli in grado di consegnare in tempi congrui e ragionevoli i registri che venivano a loro affidati per l’adempimento di tale formalità, in quanto, pur essendo in materia anche competenti i Cancellieri di tribunale, rivolgendosi a loro il registro vidimato nella migliore delle ipotesi veniva riconsegnato al richiedente non prima di sei mesi.
Tale provvedimento invero non ha affatto preoccupato la classe notarile, in quanto si trattava di un’attività marginale, alla quale il notaio non poteva sottrarsi, che era remunerata in misura che in ogni caso non copriva il costo del servizio, tenuto conto che per le grandi aziende si trattava di registri di migliaia di pagine, dove la sola apposizione del sigillo su ogni foglio richiedeva ore ed ore di lavoro sia pure di un modestissimo addetto, magari incapace di fare altro, oppure l’utilizzo di costose apparecchiature per la bollatura automatica, che solo qualche grande studio poteva permettersi. Si è trattato in definitiva di un provvedimento che in primo luogo ha giovato proprio a coloro ai quali tale attività è stata sottratta!
Segue il declassamento delle imbarcazioni da diporto a vela di lunghezza “tutto fuori” sino a dieci metri e di quelle a motore, con potenza superiore ai 25 CV all’elica, inizialmente sino a metri 7,50 e poi pur esse sino a metri 10 di lunghezza, a semplici “natanti”. Provvedimento che sollevò all’istante i diportisti dagli obblighi di pagamento della tassa di stazionamento e dalle complicata procedura biennale per il rinnovo delle c.d. ”annotazioni di sicurezza” e che facilitò enormemente il commercio di tali imbarcazioni, in quanto prima era necessario in ogni caso l’intervento del notaio, mentre da allora si compravano e si vendevano con le stesse formalità occorrenti per una bicicletta. La Guardia Costiera si trovò contemporaneamente sollevata da un neppure immaginabile cumulo di adempimenti burocratici, ottenendo la disponibilità di non poco personale da poter adibire ad altre più utili ed essenziali attività di istituto, per cui a questo punto verrebbe quasi quasi da dire: “Bravo Tremonti!” Ma a posteriori oserei affermare che, sia pure con qualche semplificazione, sarebbe stato meglio lasciare tutto invariato.
Infatti con il “senno di poi” dobbiamo constatare che il nostro Ministro in materia di navigazione da diporto non ci sembra proprio che fosse particolarmente preparato. In primo luogo si è verificato il caso di imbarcazioni-motorizzate con potenze anche ben superiori ai 200 CV che si sono improvvisamente e misteriosamente “accorciate” per rientrare in qualcosa meno dei 10 metri, contro i 12/13 originari. Come ciò sia potuto avvenire non è facile da spiegare ma purtroppo si tratta di un illecito difficilmente perseguibile, in quanto occorrerebbe con una rotella metrica da 10 metri rimisurare tutte le imbarcazioni che prima erano immatricolate ed ora non lo sono più, ma è evidente che si tratta di un’impresa irrealizzabile, restando tuttavia un mistero di come possa essere avvenuta la loro radiazione dal R.I.Na. (Registro Italiano Navale, ndr).
E così oggi vediamo sfrecciare per mare “barchette” – si fa per dire – con motorizzazioni che consentono velocità orarie dell’ordine di 30 o anche più nodi, che possono provocare incidenti anche gravi, tanto più che chi le pilota è nella stragrande maggioranza dei casi una persona che si improvvisa “comandante” per una quindicina di giorni all’anno, imbarcazioni che grazie alla loro velocità in caso di incidenti possono con estrema facilità eclissarsi, eludendo ogni responsabilità al riguardo. Per non parlare delle c.d. “moto d’acqua” lunghe non più di 3 metri ma capaci di velocità che sfiorano i 50 nodi, che evoluiscono indisturbate tra i bagnanti e che in assenza di una costante ed ininterrotta sorveglianza da parte della Polizia o della Guardia costiera, costituiscono un costante pericolo per chi si trova nelle loro vicinanze.
Ergo: ritornare per tali imbarcazioni – volendo solo a motore – ad un sistema di immatricolazione e di conseguente circolazione della loro proprietà simile a quello adottato per i “motorini” sino a 50 cm3 di cilindrata, che possa in caso di necessità consentirne l’identificazione, si dovrebbe ragionevolmente ritenere un provvedimento da adottare con estrema urgenza e non comportante particolari difficoltà di esecuzione.
E anche qui sorvolo sul danno conseguente subito dall’attività notarile, sia perchè in primo luogo l’utilità pubblica dovrebbe in ogni caso prevalere su quella di una singola categoria professionale, sia perché il danno economico subito dai Notai, e di conseguenza dal loro Istituto di previdenza, riguarda solo alcuni Colleghi dei maggiori centri rivieraschi, ai quali è stata sottratta tale marginale competenza e risulta nel complesso limitato, anche in relazione della modesta entità dei compensi previsti per le inerenti prestazioni. Ma andiamo avanti. Un bel giorno, al fine di evitare nella sua quasi totalità il contenzioso inerente alla contrattazione immobiliare, è stato introdotto il principio che la liquidazione delle imposte afferenti gli atti di trasferimento fra privati di diritti di godimento degli immobili abitativi e loro pertinenze avvenga sulla base del “valore normale” di tali diritti, da calcolarsi con riferimento a determinati coefficienti da applicarsi alla rendita catastale dei immobili in oggetto, indipendentemente dal prezzo pattuito, consentendo così alle parti di dichiarare e documentare quest’ultimo senza eccessivi oneri fiscali, evitando i rischi conseguenti alla procedura di valutazione prima in ogni caso attivata a seguito della registrazione dell’atto di trasferimento, ed oltretutto conseguendo una trasparenza nella contrattazione immobiliare e quindi della inerente circolazione monetaria sino allora immaginabile.
E chi ci andò di mezzo furono, come al solito, i Notai, ai quali venne imposta una riduzione del 30% degli onorari relativi calcolati in base al corrispettivo dichiarato, per cui si arriva all’assurdo, per come è stata formulata la norma, che quando il prezzo convenuto tra le parti si avvicina al “valore normale” che costituisce la base imponibile, o peggio ancora quando il prezzo convenuto ne risulta inferiore, l’acquirente si gode un non indifferente sconto sulla parcella, mentre la responsabilità del Notaio per i sempre possibili suoi errori resta comunque totale in funzione del prezzo pagato e dichiarato in atto. E purtroppo il nostro Consiglio nazionale non ricordo se ha taciuto o addirittura se ha plaudito a tale innovazione!
Oltre al danno in questo caso si aggiungono le beffe. Se Tizio acquista un immobile civile in un rinomato centro di villeggiatura ovvero in una grande città con un dinamico mercato immobiliare, nell’ipotesi più sfortunata pagherà un’imposta di registro liquidata su di un importo che sarà pari a meno della metà, o anche di un/quarto del prezzo effettivamente pagato. Se invece l’immobile acquistato è ubicato in zone ove per svariati motivi il mercato immobiliare ristagna – e qui parlo per esperienza diretta, avendo svolto la mia attività professionale per 46 anni nel Distretto di Biella, che da anni si trova purtroppo in siffatte condizioni – l’acquirente, per evitare il conseguente contenzioso di valutazione, che inevitabilmente ne deriverebbe, si vede costretto a pagare un’imposta su un valore che può anche essere del 50% superiore al prezzo effettivamente pagato.
Allo stato è indiscutibile che ci si trova di fronte ad una norma sotto ogni aspetto palesemente incostituzionale, ma sinora nessuno mi sembra che vi abbia pensato.
Così gli acquirenti, i Notai e la Cassa del Notariato vissero e continuano a vivere “felici e contenti” in attesa della revisione delle rendite catastali, lavoro di una tale complessità e difficoltà che, per ben che vada, lo vedranno concretizzarsi i nostri futuri Colleghi operanti nel XXIII° secolo, ammesso che allora la funzione notarile non sia sostituita da un’operazione “on line” svolta direttamente e personalmente dalle parti interessate. I Paesi a diritto anglosassone – U.S.A. in primis – temo che vi siano ormai vicini, con quali risultati staremo a poi a vedere!
Ed ora finalmente annunciamo anche una ”buona novella”! Ai Notaio sono delegate le procedure delle vendite giudiziarie dei beni immobili. A seguito della coraggiosa iniziativa dell’allora Presidente del Tribunale di Prato, poi trasferito proprio a Biella, che si è basato su di una innovativa, ma ineccepibile interpretazione delle norme in materia del codice di procedura civile, questi riuscì a delegare ai Colleghi pratesi tali procedure esecutive, consentendo la definizione in tempi accettabili dei procedimenti che languivano nella Cancelleria a causa della carenza del personale occorrente per l’espletamento di tali complesse pratiche.
Tosto ci si rese conto che tale sistema, oltre ad alleggerire in modo impensabile il lavoro degli Uffici giudiziari, ne avrebbe agevolato lo svolgimento e accorciato sensibilmente i tempi per tali procedure, per cui il Ministero della Giustizia in breve predispose l’apposita legge, delegando ai Notai che avessero dichiarato la loro disponibilità al riguardo tali procedure, riservando giustamente al Giudice dell’esecuzione l’esclusiva competenza della firma del decreto di aggiudicazione, che tuttavia veniva predisposto e controfirmato dal Notaio delegato. Seguì a ruota il decreto ministeriale che fissava i compensi spettanti ai Notai per tali prestazioni e si trattò di due provvedimenti che per chiarezza e precisione dei contenuti ebbero incondizionata approvazione da parte della Magistratura, sollevata da non indifferenti oneri operativi; dei Notai, anche in relazione ai calibrati e decorosi compensi al riguardo previsti, e dei creditori procedenti che con i loro legali, dopo anni di attesa, vedevano finalmente concretizzarsi la possibilità di recuperare almeno in parte i loro crediti, non escluse le procedure fallimentari, che subirono anch’esse una vistosa accelerazione.
Io stesso, pur avendo davanti a me solo più sette anni di attività, diedi la mia disponibilità al riguardo e in tale periodo mi fu affidato un considerevole numero di procedure, nella quasi totalità dei casi concluse in tempi brevissimi con piena soddisfazione di tutti i soggetti coinvolti.
Unica “discussione” che ebbi fu quella con un Giudice delegato, ora attivo al Tribunale penale di Milano, che mi richiese di assisterlo nell’udienza di approvazione del rendiconto e del piano di riparto in una procedura fallimentare particolarmente complessa, comprendente l’aggiudicazione ben 28 lotti e l’intervento di numerosi creditori, avvertendomi che mi avrebbe riconosciuto un compenso supplementare per tale lavoro, tenendo presente che si prevedeva che, nella migliore delle ipotesi, l’udienza, fissata per le ore 16, si sarebbe conclusa solo a notte. Ovviamente non potei rifiutarmi e alle ore 17 ed un quarto precise del giorno stabilito ……. andavamo beatamente a prenderci un caffè, con l’approvazione da parte dei legali delle numerose parti procedenti od intervenute nella procedura senza la minima eccezione in ordine al piano di riparto che avevo predisposto. Il giorno successivo inviai al Giudice la parcella suppletiva richiestami, se ben ricordo di circa 1.000.000 di vecchie lire, oltre I.V.A., e il giorno stesso il Magistrato mi telefonò “ingiungendomi” di rifarla, maggiorandola in modo decisamente consistente, in relazione ai risultati conseguenti ed alla importanza e complessità della pratica, indipendentemente dal tempo occorso per l’assistenza all’udienza. Ebbi così l’”ardire” di raddoppiare il compenso inizialmente richiesto, che a questo punto il Giudice “malvolentieri” liquidò, chiedendomi non una sola volta se ritenevo soddisfacente il compenso che avevo richiesto!
Ma tale idilliaca situazione era destinata a durare poco: infatti ben presto gli avvocati ed i dottori commercialisti si accorsero che la “mucca da mungere” era prodiga di latte di ottima qualità, cosicchè fu facile reperire un Ministro della Giustizia ed un Governo che sapientemente pensarono che scontentare poco più o poco meno di 2.000 Notai che avevano dichiarato la loro disponibilità al riguardo, accontentando non meno di 200.000 altri potenziali elettori con relativi familiari al seguito, era un’occasione politicamente da non perdere, per cui la competenza in materia venne estesa anche agli appartenenti a tali Ordini professionali, ai quali si aggiunsero, per perfezionare l’opera, i ragionieri.
Siamo perfettamente d’accordo che la predisposizione del piano di riparto, in caso di più creditori concorrenti, potesse essere delegata a tali professionisti, particolarmente esperti al riguardo, senza alcun maggior onere le parti, in quanto la tariffa già prevedeva all’uopo un apposito compenso, per cui corrisponderlo al notaio delegato o ad altro professionista particolarmente esperto in materia concorsuale era cosa assolutamente irrilevante, ma che le funzioni proprie di un pubblico ufficiale, quale è il Notaio nell’esercizio della sua attività di istituto, possano essere affidate ad altri professionisti quali “incaricati di pubblico servizio” (anche gli” ausiliari della sosta” lo sono) è cosa che va contro i più elementari principi giuridici.
Non se l’abbiano a male i professionisti chiamati in causa. Un Notaio può essere bravissimo nell’espletamento della propria attività professionale, ma essere del tutto sprovveduto in materia contabile e fiscale per quanto concerne l’imposizione indiretta, così come nei campi del contezioso sia civilistico sia fiscale, ma non si dica che avvocati, commercialisti e ragionieri siano divenuti all’improvviso esperti in materia ipotecaria, catastale ed urbanistica, oltrechè giuridica al pari dei Notai. Per i ragionieri in particolare – non se l’abbiano costoro a male – pensare che gli stessi possano avere in materia la medesima preparazione, dopo aver conseguito un diploma di scuola media superiore, svolto due anni di pratica professionale e superato un esame interno per l’abilitazione alla professione, a confronto di un Notaio, che ha frequentato un corso universitario quinquennale, svolto due anni di pratica professionale e superato un concorso nazionale che mediamente proclama vincitori non più del 7/8% dei partecipanti, è semplicemente demenziale.
Il Notaio inoltre presta un solenne giuramento in udienza pubblica avanti al Tribunale del Distretto ove ha scelto ed ottenuto di esercitare le proprie funzioni e quanto da lui certificato fa piena fede in qualsiasi giudizio sino a querela di falso. Ogni altro professionista non è soggetto a tale impegnativa formalità, per cui il suo comportamento professionale sarà senz’altro in ogni caso conforme ai più rigorosi principi di diritto e di etica professionale, ma solo perché è lui a volerlo, non perché la legge glielo impone e, quale incaricato di un pubblico servizio, le sue certificazioni faranno fede sino a prova contraria. E giunti a questo punto, quali sono le conseguenze che se ne possono trarre? La tutela della fede pubblica, propria della funzione notarile, in quale modo viene garantita? Ma a tutto ciò chi vi ha pensato? Non un Parlamento, la cui maggioranza, eventualmente con voto di fiducia, è tenuta ad approvare qualsiasi norma venga proposta dal Governo; non il Ministro della Giustizia, che pur dovrebbe conoscere e tutelare l’esclusività delle competenze per legge attribuite al Notariato; non il Governo e le Commissioni parlamentari promotori e deputate ad esaminare la legittimità di siffatti provvedimenti legislativi, palesemente incostituzionali. Il tutto anche qui avvallato dall’assordante silenzio degli organi di Governo della nostra professione.
E ancora: al tempo del ministero Bersani, quel “grande economista”, come ebbe a definirlo l’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro in un’intervista di Lilly Gruber alla RAI pochissimi mesi prima della sua scomparsa, invasato dalle idee liberiste comunitarie, esattamente contrarie a quelle alle quali sino a poco prima si era ispirato, pensò bene o male, di sopprimere tutte le tariffe professionali ordinistiche, compresa quindi anche quella notarile.
Tutto bene, tranne alcuni insignificanti particolari e precisamente che i Notai sono sì dei liberi professionisti, ma sono in primis dei “pubblici ufficiali”, per cui se andiamo in un ufficio pubblico o saliamo su di un mezzo di trasporto che esplica un pubblico servizio nessuno si prova a contrattare sui diritti di segreteria reclamati dall’ufficio o sul prezzo del biglietto richiesto per farci trasportare dal tram da casa nostra al centro della città. E già ciò comprova l’assurdità della norma richiamata.
In compenso però la maldestra norma proposta dal nostro “grande economista” ha l’incomparabile merito di aver finalmente spalancato le porte dell’evasione fiscale anche ai Notai, venendo meno ogni possibilità di controllo della congruità delle loro parcelle da parte dei Consigli notarili, con la piacevole possibilità di farci retribuire le nostre prestazioni a scelta con un pacchetto di sigarette o con un bel mucchietto di Euro in contanti, senza più alcuna possibilità da parte degli Organi competenti – Consigli notarili e Commissioni disciplinari – di intervenire al riguardo, potendo così finalmente percepire una discreta parte del compenso per le proprie prestazioni “in nero”, cosa in precedenza abbastanza rischiosa a causa dei possibili controlli da parte degli organi sopra menzionati e quindi dell’Agenzia delle Entrate.
L’inaspettato provvedimento inoltre fece sì che dalla sera al mattino gli Archivi notarili che avessero preteso per il rilascio delle copie degli atti dei Notai in pensione o trasferiti in altro Distretto i compensi sino al giorno prima legittimamente riscossi, proprio in base alla tariffa professionale, avrebbero commesso un fatto penalmente perseguibile nei confronti del Capo dell’Ufficio e contemporaneamente che la Cassa del Notariato da una parte e gli stessi Archivi notarili dall’altra fossero non fossero più legittimati a riscuotere la “tassa di archivio” ed i diritti dovuti dai Notaio al loro Ente previdenziale, essendo le norme che li prevedevano all’istante decadute.
E così ci resta l’irrisolvibile dubbio se il nostro ex Presidente del Consiglio sia stato il primo ad avere il coraggio di iniziare la demolizione dell’istituzione “Notariato”, ovvero un benemerito benefattore mosso a compassione di quei circa 5.000 professionisti dal loro ordinamento costretti a non poter evadere senza rischi un solo centesimo dei compensi riscossi nell’esercizio della propria attività. Ai posteri l’ardua sentenza!.
Solo grazie al consapevole, responsabile ed immediato intervento del Consiglio Nazionale del Notariato, che invitò tutti i Notai a continuare a comportarsi come prima, riscuotendo e versando a chi dovere le somme previste dall’abrogata normativa, si scongiurò una inevitabile ed irrimediabile crisi, con gravissime conseguenze per le Istituzioni coinvolte da questa dissennata norma di iniziativa governativa e bovinamente approvata da un Parlamento che, nel caso specifico, non si è reso minimamente conto delle conseguenze che si sarebbero verificare in questo fondamentale e delicatissimo settore.
Ed al momento sono purtroppo ancora assolutamente inconsistenti e labili le proposte che intenderebbero porre fine a questo rovinoso stato di cose che si è determinato non solo in particolare per il Notariato, ma per tutte le libere professioni in generale, ripristinando delle tariffe minime per tutte le prestazioni dei liberi professionisti. Lo si faccia almeno per i Notai, limitatamente a quanto attiene alla loro funzione di “pubblici ufficiali”.
Dopo tutto ciò, con la riforma del P.R.A., un altro non insensibile colpo viene dato all’esclusività della funzione notarile. E vero che oggi acquistare o vendere un autoveicolo è quasi come acquistare o vendere un elettrodomestico, come ebbi ad affermare già una ventina di anni fa ad un Congresso nazionale svoltosi a Genova, ovviamente attirandomi allora gli strali di più di un Collega, ma se per quanto concerne gli auto e moto-veicoli nuovi di fabbrica per la loro immatricolazione pare in ogni caso che possa essere più che sufficiente la firma elettronica certificata del legale rappresentante della Ditta venditrice, unitamente, qui però già con qualche riserva, a quella dell’acquirente in caso di iscrizione di ipoteca a garanzia del prezzo di vendita rateizzato, senza scomodare altri al riguardo, per dare un minimo di serietà nel trasferimento riguardante gli autoveicoli usati appare invece indispensabile che il contratto di vendita sia sottoscritto da entrambe le parti, e non solo dal venditore, e debitamente firmato di presenza ed autenticato da un pubblico ufficiale, Funzionario del P.R.A., Notaio o Segretario comunale, che nei piccoli comuni sarebbe all’uopo una vera provvidenza, il tutto come avveniva un tempo, con un conseguente modesto ma equo compenso, e non anche rimesso alle agenzie di pratiche automobilistiche “autorizzate”, che non è detto che diano proprie tutte le garanzie nel caso auspicabili.
Emblematica al riguardo è l’indagine svolta pochi anni fa dai Vigili urbani di Roma, che presso l’Ufficio centrale del P.R.A. rilevarono l’esistenza, sparsi in ogni parte d’Italia, di ben più di mille comuni cittadini che, senza svolgere alcuna attività, risultavano proprietari chi di più di dieci, chi di più di cento o di qualche centinaio di autoveicoli e tre o quattro soggetti che ne possedevano intestati al loro nome più di mille.
Si trattava di una ricerca di massima importanza, non solo sotto l’aspetto dell’evasione fiscale, ma soprattutto con riguardo all’attività della criminalità organizzata. Stranamente tale indagine, sebbene a quanto risulterebbe promossa dalla Procura della Repubblica di Roma, non attirò per quanto si sappia neppure per un istante l’attenzione sia dell’Agenzia delle Entrate, sia della Guardia di Finanza, sia della stessa Magistratura inquirente, che a fronte di siffatte anomalie potevano facilmente intuire cosa si celasse dietro a tali parchi macchine.
Reintrodurre l’obbligo dell’autentica di firma nei contratti di trasferimento di diritti reali di godimento di autoveicoli ad opera di un Pubblico Ufficiale a ciò specificamente deputato con obbligo di identificare con certezza sotto la propria personale responsabilità l’identità di entrambi le parti contraenti, comminando in caso di violazioni della norma severissime sanzioni sia per i soggetti che si lasciano coinvolgere in tali traffici, sia per i Pubblici ufficiali a cui tale funzione viene demandata, consentirebbe al Notariato di recuperare in parte una tra le tante competenze che gli sono state sottratte e soprattutto se ne gioverebbe la tutela dell’ordine pubblico, che al momento è primario ed indefettibile dovere da parte dello Stato di garantire ai propri cittadini.
A seguire con il governo Monti il provvedimento che consente ai liberi professionisti di poter fare pubblicità per la loro attività. Così sappiamo di notai che “mendicano” la propria clientela trai banchetti dei mercati rionali o di quelli che per attirarla, in luogo della severa targa prescritta dalla legge notarile, tappezzano la facciata dell’edificio ove hanno il loro studio con insegne luminose a fronte delle quali quelle di Broadway o di Las Vegas possono andarsi a nascondere.
E veniamo all’ultima “pensata” che non ci saremmo mai immaginati che potesse concretizzarsi sotto il precedente e l’attuale Governo, che in altri settori hanno dimostrato una lungimiranza ed una competenza assoluta.
È in corso la formulazione di una legge che prevede l’istituzione di una sede notarile ogni 5.000 abitanti, vale a dire che le sedi notarili dalla sera al mattino dovrebbero aumentare dalle circa 6.000 di oggi alle circa 12.000, indipendentemente dal “fabbisogno” della funzione nella zona di loro competenza e della conseguente redditività, che dovrebbe in ogni caso essere assicurata al titolare di ogni sede.
Tralasciamo ancora per un momento l’analisi dei grafici di cui abbiamo parlato all’inizio e vediamo come tale demenziale proposta normativa potrà essere attuata e quali conseguenze determinerà. Francamente chi l’ha concepita, quando si renderà conto delle conseguenze che si determineranno, se avrà solo un minimo di dignità, non potrà fare altro che andare semplicemente a nascondersi.
Attualmente i Notai italiani in funzione sono poco più 5.000, su di una tabella che prevede poco più di 6.200 sedi. Con una cadenza pressochè biennale viene bandito un concorso per merito per l’assegnazione delle sedi notarili vacanti. Al concorso partecipano mediamente dai 2.000 ai 3.000 laureati in giurisprudenza ed i vincitori, stante il doveroso rigore e la serietà che hanno da sempre contraddistinto tale concorso, risultano essere in media il 7/8% dei partecipanti, vale a dire ogni volta da poco più di 150 a poco meno di 250 elementi, destinati a coprire le sedi vacanti poste a concorso, il cui numero corrisponde sempre pressappoco al numero dei vincitori, non perché ciò sia al riguardo pilotato, ma in quanto si tratta di un fisiologico processo di avvicendamento e perchè il numero dei partecipanti riconosciuti idonei, avendo superato le tre prove scritte – che producono in partenza una rigorosa selezione tra i partecipanti – e quindi le tre prove orali previste dal vigente ordinamento risulta per naturale selezione in ogni caso tale. È ora previsto un concorso per l’assegnazione di 500 posti, e ciò di per sé suscita già non poche perplessità e preoccupazioni, in quanto si teme che per coprire non tutti i posti a concorso, ma una almeno buona parte degli stessi, si possa largheggiare nella valutazione degli elaborati scritti e in definitiva si ammettano all’esercizio della professione un non indifferente numero di concorrenti in realtà non meritevoli e conseguentemente inidonei a svolgere una professione che richiede una preparazione teorico-pratica di altissimo livello.
Con la proposta di legge, approvata la nuova tabella che prevede in funzione degli abitanti un totale circa 12.000 sedi, si dovranno trovare all’improvviso 5/6.000 soggetti che risultino vincitori del concorso ed è evidente che non ci sono alternative: o si dichiarano idonei 5/6.000 “analfabeti” in materia di diritto e nello spazio di pochissimi anni celebreremo il solenne funerale del Notariato italiano, sino ad oggi assunto ad esempio in Europa, Africa, Americhe ed Asia da tutti i Paesi aderenti all’Unione Internazionale del Notariato Latino e che viene anche più a meno bene copiato dai Governi delle Repubbliche ex-sovietiche e persino dalla Repubblica Popolare Cinese, dove – per sentito dire – sembra che l’intervento del Notaio occorra anche per l’acquisto di un apparecchio elettrodomestico!
E se per caso si potrà invece continuare con l’attuale selettivo sistema le circa 6.000 nuove sedi resteranno in eterno vacanti, con l’ulteriore rischio che, ponendo a concorso un siffatto numero di nuove sedi, qualora le stesse venissero assegnate agli ipotetici vincitori del concorso, si verificherebbe una “desertificazione” dell’istituto, in quanto i nuovi Notai anche di prima nomina opteranno per le sedi più redditizie messe a concorso, ignorando le sedi rurali, indiscutibilmente meno “ricche”, ma in definitiva assolutamente essenziali per un corretto funzionamento di tutto il sistema, come sino ad oggi avviene, sedi che nella migliore delle ipotesi resteranno coperte ben brevissimo tempo, in quanto i loro titolari cercheranno al più presto di essere trasferiti in altre più produttive, per cui esse resteranno pressochè in eterno vacanti.
Un piccolo esempio al riguardo lo si può trarre dalla di per sé già a sufficienza sgangherata riforma della tabella approvata, quando subimmo la calamità di avere quale Ministro della Giustizia l’on. Oronzo Reale che, preso dalla fregola di meglio distribuire il lavoro notarile, rifilò in un sol colpo un aumento di oltre 30 sedi ai Distretti riuniti di Torino e Pinerolo, che da allora, e sono passati quasi 50 anni, sono e restano perennemente vacanti.
A questo punto è giunto il momento, anche in base alle considerazioni svolte, di analizzare con estrema attenzione i due grafici predisposti dai diligenti ed esperti funzionari della nostra Cassa per trarre le conclusioni di questo scritto.
Nel 2006, all’alba della crisi economica che ha coinvolto si può dire tutto il mondo e dalla quale solo a fatica cerchiamo di riprenderci, la media annua degli onorari notarili risultava di circa 130.000 Euro pro capite, con punte che in una mezza dozzina di Distretti sfioravano i 200.000 Euro.
Da quando sono nato sono sempre stato un patito di elenchi, graduatorie e statistiche, bonariamente sin da piccolo preso in giro al riguardo da mia Madre, ma in compenso posso asserire con precisa conoscenza di causa che mediamente per un notaio affermato, che applichi scrupolosamente la tariffa professionale, che corrisponda un’equa retribuzione ai propri dipendenti e che operi in larghissima prevalenza nel campo contrattuale, in definitiva il reddito netto annualmente conseguito, dopo pagate puntualmente tutte le spese inerenti alla gestione dello studio, gli stipendi ed i contributi previdenziali propri e dei propri dipendenti, i premi delle assicurazioni a copertura dei rischi professionali, le imposte sul reddito professionale, quelle comunali ed ogni altro onere fiscale che ci affligge, Euro più Euro meno, corrisponde all’ammontare alla somma degli onorari annotati a repertorio, anche se, dopo l’entrata in vigore delle “lenzuolate” del mai abbastanza vituperato on. Pierluigi Bersani, in tali colonne si dovrebbe a rigore annotare un bel “nulla”.
Ma, esaminando il grafico omologo riferito all’anno 2015, con sgomento notiamo che il reddito medio netto dei Notai determinato con i criteri sopra enunciati si è attestato a circa 60.000 Euro annui e che in soli tre Distretti si è raggiunta a malapena una media di circa 100.000,00 Euro.
È evidente che da tale grafico possono ricavarsi in primo luogo tutti gli elementi occorrenti per un’oculata e puntuale ridistribuzione delle sedi nel territorio, aumentandole là ove la media degli onorari repertoriali risulta più accentuatamente superiore alla media nazionale e sopprimendole, con eventuale conseguente riunione di più Distretti confinanti, là dove tale media risulta invece decisamente inferiore.
A questo punto incominciamo però a pensare che per diventare notai occorrono una diploma di scuola media superiore, un corso quinquennale di laurea, due anni di pratica professionale che, se fatta con il dovuto spirito, può procurarci al massimo i soldi per le sigarette e per andare una volta al mese – non di più – al cinematografo con la ragazzina di turno, se abbiamo la fortuna di averla; che occorre poi attendere qualche mese il bando del concorso, parteciparvi, superarlo, espletare le formalità per l’iscrizione a ruolo e, dopo un altro paio d’anni nella migliore delle ipotesi prendere finalmente possesso della sede ottenuta, che, se si è classificati nei primi posti della graduatoria può anche essere quella ambita, redditizia e vicina a casa propria, ma diversamente, in particolare per coloro in graduatoria sono collocati nelle retrovie, non potrà essere che in Molise, Basilicata, Calabria o in qualche altro sperduto angolo della nostra bella Italia, “isole comprese”.
In base a queste considerazioni chiediamoci in primo luogo chi avrà il coraggio di attendere di non guadagnare un soldo, nella migliore delle ipotesi sino all’età di trent’anni, dopo aver corso l’alea di superare un concorso che – come detto – esprime la possibilità di essere superato da non più del 7/8% dei partecipanti, per poi rischiare di vedersi assegnata a seguito di una scelta obbligata una sede del tutto improduttiva, lontana dalla famiglia, con la prospettiva per un paio d’anni di conseguire un reddito professionale netto, se va bene, di non più di 2.000 Euro mensili, sia pure integrati da un altro migliaio da parte della Cassa del Notariato a titolo di assegno di integrazione.
Poniamo pure che questa situazione sia transitoria e che fra qualche anno si possa ritornare ai livelli di onorari riprodotti nel grafico riferito all’anno 2005, che comunque comprende tre Distretti (Campobasso, Enna e Palmi) con onorari medi pari o anche leggermente inferiori a 50.000 Euro annui. Intanto ad oggi i Distretti che si trovano in tale situazione non sono più tre, ma sono diventati allo stato una decina, per cui se nel frattempo venisse data piena attuazione alla riforma tabellare prevista dalla norma testè emanata è facile intuire quali ne sarebbero le conseguenze:
– una masnada di soggetti assolutamente impreparati verrebbe ammessa ed abilitata all’esercizio delle funzioni notarili,
– dato e non scontato che tutti i vincitori del concorso abbiano dimostrato di essere bravi e capaci nell’assolvimento delle loro funzioni, essendo la quantità di lavoro richiesta alla categoria determinata non in funzione del numero di coloro che la esercitano, ma in funzione dell’andamento della economia nazionale, il reddito medio per i 12.000 Notai d’Italia è destinato a rimanere di poco superiore a quello di un netturbino, di un manovale di basso rango o di un bracciante agricolo, attestandosi su importi medi compresi tra i 10.000 ed i 20.000 Euro annui, per cui è facile immaginare quanti giovani laureati in giurisprudenza saranno attirati da una professione che offre tali prospettive economiche non prima dei trent’anni di età.
Ed infine non occorre essere un genio per comprendere che il “fabbisogno notarile” non è in funzione del numero degli abitanti, ma in funzione dell’economia del territorio, per cui a parità di abitanti il numero di Notai occorrenti per assicurare un adeguato e puntuale servizio in certe zone può essere anche triplo rispetto a quello dei Notai operanti in zone economicamente “depresse”, che purtroppo ancora sussistono, non solo nel Meridione e nelle Isole.
Ma la ciliegina sulla torta sarà costituita dal “fallimento” della Cassa Nazionale del Notariato, la quale nella situazione che inevitabilmente si verificherà a seguito dell’attuazione di tale normativa, nell’arco di non più di vent’anni, dato fondo a tutte le riserve per legge accantonate in un secolo di vita, non sarà più in grado sia di erogare gli assegni d’integrazione oggi in atto, sia di corrispondere ai Notai che, per raggiunti limiti di età o per altri motivi, avranno maturato il diritto alla pensione, l’assegno che a loro compete in base agli attuali regolamenti, in quanto a parità di introiti l’ammontare delle uscite risulterà più che raddoppiato. E così non ci sarà altra soluzione per la Cassa che quella di scaricare ogni onere sull’I.N.P.S., o su quell’altro ente previdenziale di Stato che ne avrà preso il posto, che a spese della collettività, non potrà far altro che assumere l’onere di adempiere agli oneri oggi propri del nostro Ente di previdenza, tenendo presenti che i diritti legittimamente acquisiti in ogni caso rimangono tali.
Benissimo: la norma demenziale oggi prospettata, patrocinata dai suoi promotori. se fatta propria dal Governo in carica ed approvata, tra un coacervo di altre disposizioni di tutt’altra natura in un provvedimento composto da un unico articolo e centinaia di commi senza neppure una parola che ne indichi il contenuto, da una Parlamento che per un motivo od un altro non potrà o non vorrà rendersi conto delle catastrofiche conseguenze che ne deriveranno, produrrà inevitabilmente gli effetti sopra delineati.
A questo punto a mali estremi occorrono estremi rimedi: o il Governo con un minimo senso di responsabilità si renderà di tali conseguenze ed accantoni una volta per sempre tale sconsiderata proposta, ovvero potremo mettere la parola “FINE” al Notariato italiano, affidando le funzioni sinora dallo stesso svolte ad un complesso di impiegati dello Stato, che è facile intuire con quale spirito ed efficienza le svolgeranno.
Con quanto sopra, mi auguro di aver saputo esprimere in termini da tutti comprensibili i concetti esposti e che qualcuno dei responsabili di tale prossima futura “catastrofe” si renda conto delle conseguenze che ne deriverebbero, qualora tale proposta avesse anche solo parzialmente seguito. Diversamente l’unica consolazione che rimane a me, come a qualche centinaio dei Notai più anziani in esercizio e di quelli in pensione ed ai loro coniugi superstiti è che, avendo raggiunta felicemente un’età prossima alla mia, la nostra Cassa abbia ancora i mezzi ed il tempo necessari per erogare gli assegni pensionistici che ci sono oggi elargiti e che, se parzialmente sollevati dall’attuale prelievo fiscale, oggi assolutamente intollerabile, ci consentirebbero ancora qualche anno di serenità, dopo tanti di responsabile e stressante lavoro, svolto nell’esclusivo interesse della comunità e dello Stato.
Ciò che avverrà in seguito l’avranno sulla coscienza gli autori di tale vergognosa ed irresponsabile proposta.
Giovanni Fulcheris