Approvata la Legge Annuale per la Concorrenza ed il Mercato

Dopo un lungo e travagliato percorso, dopo quattro letture parlamentari e più voti di fiducia, annacquata, secondo alcuni, ad opera di potenti lobbies (non esclusa, ovviamente, quella dei notai che sono riusciti a mantenere le proprie competenze), vede la luce la Legge Annuale per la Concorrenza ed il Mercato (L. 4 agosto 2017 n. 124, pubblicata in G.U. 189 del 14 agosto 2017, in vigore dal 29 agosto 2017) che, osservata dal punto di vista del notariato comporta un passo indietro, rispetto alla legge notarile del 1913 (riduzione indiscriminata del rapporto notaio/abitanti e abolizione, nella definizione della tabella delle sedi notarili, di qualsiasi paramento reddituale o funzionale all’efficienza del servizio come il riferimento alla quantità degli affari).

Su questi punti viene spontanea qualche (ormai inutile) riflessione.

 

Rapporto notai/abitanti.

Il Consiglio Nazionale del Notariato nell’audizione alla Camera del Deputati del 6 giugno 2017, ha presentato un pregevole, quanto tardivo, studio che, tra l’altro, mette a confronto il rapporto notai/abitanti di 24 pesi europei. Da questo studio risulta che l’Italia, dopo la revisione della tabella delle sedi notarili attuata dal Governo Monti, a fronte di un rapporto medio europeo notai/abitanti di 1/14.256, presenta un rapporto di 1/9.506 più basso di quello esistente in Germania (1/10.461), Olanda (1/12.420), Polonia (1/14.627), Spagna (1/16.054), Austria (1/17.398), Portogallo (1/28.956), per considerare solo i paesi maggiori (la Francia ha un sistema particolare e non viene qui considerata).

Con il nuovo rapporto previsto dalla novella legislativa l’Italia si pone, tra i paesi considerati dallo studio del CNN, al terzo posto (partendo dal basso), preceduto solo da Malta e Grecia.

Notizia più importante, che il citato studio ci fornisce, è che in Europa il numero dei notai, viene determinato non solo in considerazione del numero degli abitanti, ma anche del numero di atti prodotti. Lo studio espone il sistema tedesco per la revisione del numero dei notai che avviene secondo criteri di efficienza del servizio, rispetto alle esigenze dei cittadini, cosicché “un numero sufficientemente alto di atti notarili prodotti in un determinato territorio del Land giustifica l’aumento del numero di notai del distretto solo se, contemporaneamente, anche altri parametri indicano tale necessità come permanente e non temporanea”.

Come nasce, invece, il rapporto previsto dalla nuova legge? Se non adiamo errati da alcuni emendamenti all’art. 27, presentati nella discussione in commissione alla Camera dei deputati (31.1, Donati ed altri, 27.3, Currò e 27.4, Crippa ed altri il quale ultimo prevedeva addirittura il rapporto di 1/3.500).

Nel seguito della discussione parlamentare non si trova traccia di una indagine sulla “efficienza del servizio rispetto alle esigenze dei cittadini”, come previsto dal sistema tedesco. La giustificazione del previsto aumento è la maggiore concorrenza nel notariato; una concorrenza a prescindere, verrebbe da dire.

E non se ne trova traccia neanche nella Segnalazione antitrust AS1137 del luglio 2014, che sta all’origine del DdL Concorrenza, nella quale si legge che “occorre evidenziare il persistere nel mercato della fornitura di servizi notarili di alcune rilevanti problematiche concorrenziali” le quali problematiche riguarderebbero, come si scopre nel seguito della Segnalazione, l’art. 147 L.N. che qualificando come illecita concorrenza la possibilità di effettuare riduzioni di onorari, diritti o compensi, di servirsi dell’opera di procacciatori di clienti, di far uso di forme pubblicitarie non consentite dalle norme deontologiche o, più in generale, di servirsi di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio della classe notarile, manterrebbe “ingiustificate forme di controllo, da parte dell’Ordine, sulla libertà dei professionisti di organizzare la propria attività …”

Dunque l’Autorità Garante della concorrenze e del Mercato ritiene normale, anzi opportuno, che un professionista adotti sistemi non confacenti al decoro ed al prestigio della propria professione1, decoro e prestigio che furono, invece ben presenti al legislatore del 1913 il quale con quella legge, per difettosa che fosse, intendeva porre riparo, tra l’altro, proprio alla mancanza di decoro e di prestigio che si riteneva affliggesse molti colleghi dell’epoca, come risulta dalle due giornate (7 ed 8 febbraio 1913) di pur affrettato dibattito in seno alla Camera dei Deputati, tra l’altro, mediante un adeguamento, con riduzione, del numero delle sedi notarili alle effettive esigenze del servizio [sistema tedesco n.d.r].

La popolazione italiana al 1° gennaio 2017 risulta di 60.589.445 abitanti (dati Istatper ottenere i dati cliccare sul pulsante “Tavola” presente nella colonna sinistra) che diviso per 5.000 (numero di abitanti per sede notarile) dà un quoziente di 12.117 unità e questo in un momento in cui il numero di compravendite immobiliari crolla da 850.000 (anno 2006) a 650.000 (anno 2015) con una riduzione del 30% circa.

Certamente la scelta legislativa cade nel momento meno opportuno, nel momento, cioè, nel quale si sommano gli effetti negativi dell’abolizione della tariffa, della sottrazione di competenze al notariato (vendite di autoveicoli, cessione di quote sociali, eliminazione dell’onorario professionale per la redazione di atti di società a responsabilità limitata semplificate, prima riservate a soggetti di età inferiore ad un certo limite, con l’intento di favorire l’imprenditorialità giovanile, poi generalizzata con l’eliminazione del limite) e della crisi economica che, al suo acme, ha provocato perdita di onorari repertoriali complessivi, fino quasi al 50%.

E questa scelta non incide solo sul reddito notarile già falcidiato dai fatti sopra segnalati, ma si riverbera anche sulla sostenibilità del sistema previdenziale notarile ed, in particolare, del bilancio attuariale il quale deve tener conto non del numero dei notai effettivamente esercenti, ma del numero dei posti notarili previsti in tabella.

 

Eliminazione, dall’art. 4 L.N. del parametro di minima redditività della sede notarile.

Sulla materia si legge nella Segnalazione sopra richiamata: “Quanto alla distribuzione geografica delle sedi dei notai, i criteri attualmente seguiti sono tuttora orientati non già al corretto soddisfacimento dell’effettiva domanda di servizi professionali, bensì a garantire determinati livelli di attività e di reddito ai professionisti interessati.” [Il grassetto è della redazione. N.d.r.].

“Ci si riferisce, in particolare, al criterio distributivo delle sedi notarili basato su un livello minimo di domanda, di cui all’articolo 4, comma 1, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, che stabilisce che la distribuzione delle sedi notarili tra i Comuni dei vari distretti sia basata sulla garanzia, per ogni singolo notaio, di un livello minimo di domanda (popolazione di almeno 7.000 abitanti) e di un livello minimo di reddito annuo (almeno 50.000 euro di onorari professionali repertoriali). Pertanto, i criteri per la determinazione del numero e della residenza dei notai per ciascun distretto, oltre a non tener conto di parametri idonei a conseguire l’obiettivo di una razionale e soddisfacente distribuzione territoriale dei professionisti stessi, prevedono una garanzia di reddito minimo, determinando ingiustificate posizioni di rendita in favore dei professionisti.” [il grassetto è sempre della redazione. N.d.r]

Quale dovrebbe essere il parametro idoneo “a conseguire l’obiettivo di una razionale e soddisfacente distribuzione territoriale …” se non quello che tenga conto oltre che del bacino di utenza (numero di abitanti) di ogni sede notarile anche del livello minimo di domanda cosicché ogni cittadino abbia facile accesso al servizio notarile e questo soddisfi prontamente la domanda? Risulta che con le norme fino a ieri vigenti questi risultati non siano stati conseguiti?

L’equivoco in cui è caduta l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato è quello di ritenere che il livello minimo di domanda sia dato dal numero degli abitanti; ma questi non hanno tutti la stessa potenzialità di domanda che, in larga parte dipende dalle possibilità economiche di ciascuno le quali, come risulta dai dati Istat relativi al reddito medio per regione, e dai rapporti annuali Svimez, per gli abitanti delle regioni meridionali, si collocano al 50% circa di quelle di cui dispongono quelli delle regioni settentrionali.

Oltre tutto quella minima redditività della sede notarile che l’Autorità Antitrust considera una “ingiustificata posizione di rendita”, nelle intenzioni del legislatore del ’13 era la previsione di un “trattamento economico … indirettamente riservato dallo stato” (Marco Santoro, “Notai – Storia sociale di una professione in Italia”, Il Mulino, 2009, p. 260, il quale però riferisce la definizione alla tariffa) ad un esercente di pubblica funzione che, per una esplicita scelta legislativa, la gestisce in forma di privata professione. Infatti, fin dall’epoca dei lavori preparatori della legge del ’13, da più parti ci si interrogava sulla opportunità che in notariato fosse inquadrato nell’ambito della pubblica amministrazione eliminando così “l’ibridismo da cui è oggidì affetto il notariato, non ultima causa del suo decadimento” (Santoro, p. 297, nota 29); ma l’indirizzo del governo fu sempre contrario ad una soluzione del genere, oltre che per pretestuose ragioni di ordine ontologico, per più concrete ragioni di ordine finanziario. Nella relazione al disegno di legge notarile Gallo, (cit. da Santoro, p. 297 e seg. nota 31, con riferimenti ai documenti parlamentari) è detto che “far dei notari pubblici impiegati è inconciliabile con l’essenza della funzione notarile” [obiezione ontologica. N.d.r.] senza considerare [concreta obiezione finanziaria. N.d.r.] il “danno che deriverebbe all’erario dello stato” e nella successiva relazione al disegno di legge notarile del ministro Fani esplicitamente si affermava che “Né la società, né lo stato sentono davvero il bisogno di un nuovo funzionarismo notarile, e dell’enorme onere che ne deriverebbe alla pubblica finanza” (Santoro loc. ult. cit.).

Su questo punto, tuttavia, per non ripeterci, rimandiamo ad altro articolo già pubblicato su questo portale sotto il titolo “Brevi spunti in tema di minima redditività delle sedi notarili”


 1) “Alcuni economisti, si sa, non hanno simpatia per le regole giuridiche, considerate come lacci e lacciuoli, l’ Autorità antitrust non ha simpatia per i codici deontologici, ritenendo che l’etica sia un ostacolo ai rapporti economici (!) [il grassetto è della redazione – n.d.r.], la costituzione di società di tipo commerciale è considerata la panacea per promuovere ulteriori progressi della concorrenza, e non si considera che così facendo si inducono i professionisti ad adottare l’ottica mercantilista, li si spinge a diventare sempre più imprenditori, quindi a commerciare la difesa in giudizio, le cure della salute, la garanzia notarile della autenticità degli atti e così via.”

(Da un articolo del Prof. Guido Alpa “Serve un equilibrio (vero) fra le regole e l’economia” pubblicato su Il Sole 24 Ore il  15 giugno 2017, che si può leggere qui)