Come è noto, la Legge n. 124/2017 , pubblicata sulla G.U. n. 189 del 14 agosto 2017 ed entrata in vigore il 29 agosto successivo, ha inciso notevolmente sulle modalità di esercizio del ministero notarile, sull’assetto territoriale del Notariato e probabilmente sulla stessa natura di detto ministero.
Prima facie deve osservarsi che l’art. 1, comma 150, di detta legge impone a tutti i liberi professionisti, e quindi anche ai notai – pur nella loro qualità sui generis – l’obbligo del preventivo “in forma scritta o digitale” da redigere prima del conferimento dell’incarico professionale.
Ciò comporta per questi ultimi un notevole aggravio perché occorre esaminare preventivamente la prestazione notarile sviscerandone tutti i suoi complicati aspetti (in sostanza predisponendo l’atto relativo) e quindi svolgere un complicato lavoro molto probabilmente senza alcun compenso.
Il comma 142 di detto articolo 1 impone ai notai l’istituzione di un conto corrente dedicato a tutte le somme dovute a titolo di spese anticipate e tributi per gli atti dagli stessi ricevuti o autenticati soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale, nonché ad ogni altra somma soggetta ad annotazione nel registro delle somme e dei valori. Inoltre dispone che in detto conto vengano versati, su richiesta di almeno una delle parti, in base all’incarico conferito, l’intero prezzo o corrispettivo, ovvero il saldo degli stessi, se determinato in denaro, oltre alle somme destinate ad estinzione di gravami o spese non pagate o di altri oneri dovuti in occasione del ricevimento o all’autenticazione di atti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione o estinzione di altro diritto reale su immobili od aziende.
Viene disposto, altresì, che il notaio provveda senza indugio allo svincolo degli importi depositati, a favore degli aventi diritto, soltanto quando gli viene fornita la prova della verificazione di un determinato evento o l’adempimento di una determinata prestazione, così come convenuto dalle parti. Viene precisato, però, che, in caso di deposito per le finalità in ultimo descritte, il notaio, salvo che si tratti di persone ammesse al gratuito patrocinio, deve ricusare il suo ministero se le parti non depositano, antecedentemente o contestualmente alla sottoscrizione dell’atto, l’importo dei tributi, degli onorari e delle altre spese dell’atto stesso. Viene anche stabilito che “gli interessi maturati su tutte le somme depositate, al netto delle spese e delle imposte relative al conto corrente, sono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese”.
Invero dette disposizioni, pur essendo macchinose e quindi di non semplice osservanza, sicuramente traboccanti di sfiducia verso i notai, determinano anche una valorizzazione del loro ruolo di pubblici ufficiali. Difatti, nella contrattazione relativa ad immobili ed aziende, il notaio, con riferimento al quale si torna a parlare di “ministero” piuttosto che di “professione” e di “parti” piuttosto che di “clienti”, è considerato come il controllore ed il garante del buon esito di detta contrattazione. Inoltre le somme depositate costituiscono un patrimonio separato impignorabile, nell’interesse delle parti e dello stesso notaio, anche con l’esclusione dalla di lui successione.
Al riguardo non può non osservarsi che tale normativa avrebbe potuto essere l’occasione per introdurre anche un aggio a favore dei notai che gratuitamente riscuotono ed amministrano, quali responsabili d’imposta – ed anche, con l’introdotta autoliquidazione telematica, quali mandatari nell’interesse del fisco – ingenti somme per conto dello Stato.
Il punctum dolens di questa nuova normativa, però, è costituito dal comma 144 del citato art. 1, il quale rivoluziona il collegamento del notaio al territorio allontanandolo sempre più dal sistema fondato sulla sede e sul distretto notarile, e svincola la prima da ogni sua possibile redditività.
Si legge nel predetto comma:
“Il numero e la residenza dei notai per ciascun distretto sono determinati con decreto del Ministro della giustizia emanato, uditi i Consigli notarili e le Corti d’appello, tenendo conto della popolazione, dell’estensione del territorio e dei mezzi di comunicazione, e procurando che di regola ad ogni posto notarile corrisponda una popolazione di almeno 5000 abitanti.
Il notaio può recarsi, per ragioni delle sue funzioni, in tutto il territorio della regione in cui si trova la propria sede, ovvero in tutto il distretto della Corte d’appello se tale distretto comprende più regioni. Salve in ogni caso le previsioni dell’art. 82, può aprire un unico ufficio secondario in qualunque comune della regione ovvero in tutto il distretto della Corte d’Appello in cui si trova la sede, se tale distretto comprende più Regioni.”
In caso di associazione, ciascun associato può utilizzare lo studio e l’eventuale ufficio secondario di altro associato.
“Se un associato si avvale dello studio o ufficio secondario di un altro associato quale proprio ufficio secondario, resta fermo il limite di cui all’ultimo periodo del secondo comma dell’art.26” (può aprire un unico ufficio secondario in qualunque Comune della Regione ovvero in tutto il Distretto della Corte d’appello se tale distretto comprende più Regioni).
La nuova normativa, continuando ad infrangere sconsideratamente un tradizionale ed essenziale assetto territoriale della funzione notarile, modifica profondamente quella precedente ed istituisce il notaio con competenza regionale e persino “pluriregionale” quando il distretto di Corte d’appello (in cui trovasi la sede notarile) si estende al territorio di più Regioni.
Inoltre, nella sua nuova formulazione letterale, sopprime, per determinare il numero e la residenza dei notai, il criterio “della quantità degli affari” e quindi del volume dei traffici giuridici e commerciali, riduce a 5000 da 7000 (in passato già ridotto da 8000) il numero degli abitanti cui “di regola” corrisponde ogni posto notarile, e sopprime, in relazione a tale posto, “il reddito annuo, determinato sulla media degli ultimi 3 anni di almeno 50.000 euro di onorari professionali repertoriali.”
In sostanza, mentre da una parte si attribuiscono nuovi compiti al notaio-pubblico ufficiale, dall’altra lo si priva della sua probabile indipendenza economica eliminando ogni garanzia reddituale necessaria per poter assicurare dignitosamente l’esercizio di una pubblica funzione, alla quale si accede mediante il superamento di un difficile pubblico concorso per esami, molto diverso da un semplice esame d’abilitazione, e che comporta innumerevoli obblighi, tra cui quello di tenere aperto, a proprie spese, in un determinato Comune uno studio a disposizione della collettività con il deposito degli atti e repertori.
Sicchè ci troviamo, a mio modesto avviso, di fronte ad una profonda irragionevolezza di detta normativa con un uso distorto della discrezionalità legislativa, “sintomatica di eccesso di potere e dunque di sviamento rispetto alle attribuzioni che l’ordinamento assegna alla funzione legislativa.” (Sentenza n. 313/1995 della Corte Costituzionale).
Naturalmente tutto dipenderà dalle valutazioni del Ministro della Giustizia che, nell’emanare il decreto che determina il numero e la residenza dei notai, dovrà tenere conto che in fondo la disposizione richiama soltanto parametri di natura indicativa e non potrà esimersi dal dare alla nuova normativa un’interpretazione costituzionalmente orientata tenendo nella massima considerazione la continua diminuzione delle esclusive notarili, il volume dei traffici giuridici e commerciali dei Comuni in cui si istituiscono posti di notaio, e quindi l’effettiva domanda del servizio notarile da parte della popolazione, aumentando o anche diminuendo il numero di abitanti rispetto a quello di 5000 previsto indicativamente dalla nuova legge. Inoltre non potrà neppure trascurare il reddito conseguibile nel posto di notaio, che, in ogni caso, deve essere sufficiente ad assicurare al titolare di detto posto ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa in armonia ai disposti degli articoli 3 e 36 della Costituzione.
ùQualora il Ministro della Giustizia non tenesse conto dei suddetti criteri, dei quali non posso non auspicare una pronta palese reintroduzione, seppure attraverso un’interpretazione autentica della nuova normativa, resterebbero aperte soltanto tutte le incerte opzioni giudiziarie, anche di ordine costituzionale, previste dal nostro ordinamento giuridico.
Infine menzione particolarmente negativa occorre dedicare alla lettera f) del citato comma 144, con il quale – senza tener conto che i notai sono pubblici ufficiali, liberi professionisti soltanto affinché ne sia garantita l’indipendenza, ai quali pertanto non possono essere applicate le regole del libero mercato – si legittima quanto in concreto di fatto già si verifica con l’avvenuta assurda abolizione delle tariffe, vale a dire con la forma più aberrante di illecita concorrenza costituita dalla riduzione di onorari, diritti e compensi – e conseguente grave pregiudizio per la qualità della prestazione – allo scopo di assicurarsi il cliente spesso non in grado di comprendere che la scelta del notaio non può essere fatta in base al più basso costo di detta prestazione.
In conclusione questa legge, voluta dal MISE e dall’Antitrust – con la colpevole inerzia del Ministero della giustizia – in forma ancora più punitiva di quanto il Parlamento ha infine stabilito, infligge al Notariato una seria trasformazione in peius, che si rifletterà, se non ci sarà un’adeguata e ferma mobilitazione della categoria veramente – e non solo formalmente – sostenuta dagli organi che la rappresentano, anche sul sistema previdenziale, non più in grado nel futuro di sopportare gli oneri pensionistici dovuti al probabile eccessivo ed irrazionale aumento dei posti notarili di tabella.
Renato Campo
notaio in pensione
membro dell’Assemblea dei Rappresentanti della C.N.N.