Da CNN notizie del 2/4/19 si apprende che presso il Ministero della Giustizia è stato istituito un “Tavolo” che riunisce i rappresentanti di tutti gli ordini professionali per discutere di equo compenso.
Da quando il c.d. “Decreto Bersani” ha abrogata l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime per le prestazioni rese da liberi professionisti, il ceto professionale vive nella nostalgia del regime tariffario.
L’art. 2 del provvedimento Bersani individua la ratio dell’abrogazione nella esigenza di conformarsi al principio comunitario di libera concorrenza, esigenza smentita, però, sia dall’esistenza di regimi tariffari nella maggior parte dei Pesi UE, sia da una decisione della Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, (sentenza 8 dicembre 2016), la quale, con riferimento al diritto spagnolo, afferma che “non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che assoggetta gli onorari dei procuratori legali a una tariffa … della quale i giudici nazionali si limitano a verificare la rigorosa applicazione, senza essere in grado, in circostanze eccezionali, di derogare ai limiti fissati da tale tariffa“.
E forse questa decisione non è estranea, alla ripresa del dibattito sull’argomento della retribuzione delle prestazioni professionali, alla quale ha contribuito anche la costatazione del degrado che, non solo in ambito professionale, la ricerca del massimo ribasso sta producendo; degrado tanto evidente nel settore delle commesse pubbliche, che la nuova formulazione del codice dei contrastti pubblici (D.LGS 18 aprile 2016, n. 50, art. 97) ha introdotto la figura della “offerta anomala” definita come quella che appare anormalmente bassa, “sulla base di un giudizio tecnico sulla congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta” di un giudizio, cioè, nel quale entra anche, dal punto di vista del committente, la valutazione di un equo utile di impresa, considerato come presupposto di una corretta esecuzione dell’opera.
Si riconosce, quindi, che qualsiasi prestazione ha un costo intrinseco (costo dell’organizzazione, dei materiali impiegati, del tempo dedicato, ecc.) e, pertanto, c’è un limite di prezzo alla possibilità di dare esecuzione ad una diligente prestazione, eseguita a regola d’arte.
Se la prestazione viene offerta ad un prezzo inferiore a questo limite, qualcuno ne riceverà un danno; chi la offre se, nonostante tutto, è diligentemente eseguita; chi la riceve, in caso contrario. L’ultimo esempio dei danni che può provocare la ricerca del massimo ribasso sembra essere ia catastrofica situazione delle scale mobili della mettropolitana di Roma, la cui manutenzione (secondo quanto affermato nella trasmissione televisiva “Non è l’Arena” di domenica 28/4/19) è stata assegnata ad una impresa che aveva offerto un ribasso del 50%!
Di equo compenso si comincia a parlare già nella scorsa legislatura che ha visto la presentazione di due progetti di legge, da parte, rispettivamente, del Senatore Sacconi1) e dell’ On. Damiano2).
Questi progetti, con esplicito riferimento all’art. 36 della costituzione, introducevano il concetto di compenso equo definito come quello “proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, al contenuto ed alle caratteristiche della prestazione professionale”; stabilivano la nullità di “ogni clausola che determina uno squilibrio contrattuale” “tra le parti in favore del committente” (secondo la proposta Sacconi), “tra il professionista e la pubblica amministrazione committente” (secondo la proposta Damiano); introducevano una presunzione juris tantum di inadeguatezza del compenso ed individuavano una serie di clausole definite vessatorie (progetto Damiano).
La relazione alla proposta Sacconi riconosce che “una sfrenata concorrenza, cui concorrono le gare al ribasso delle amministrazioni pubbliche, conduce i soggetti più deboli … ad accettare remunerazioni sottocosto con l’inevitabile dequalificazione delle professioni” e sottolinea come l’equo compenso costituisca “una oggettiva esigenza per tutti i consumatori perché li mette al riparo da servizi professionali di bassa qualità”
Sulla stessa linea l’On Damiano partecipando ad una trasmissione televisiva aveva dichiarato: “Sono uno di quelli che vorrebbe che, per quanto riguarda le libere professioni, fosse stabilito di nuovo un tariffario, un parametro di riferimento, un equo compenso, perché non possiamo più vivere in una società nella quale il compenso viene stabilito da una libera pattuizione altrimenti … facciamo il massimo ribasso applicato alla società e questo vuol dire mancanza di qualità e degrado e mancanza di rispetto dei diritti” … “non siamo più all’epoca della regola dettata dai contratti universali, il lavoro si sposta verso l’autonomia, verso l’inafferrabilità, quindi, ci vogliono delle regole…“
La correttezza delle valutazioni dei due parlamentari è dimostrata dai recenti bandi governativi e di altre amministrazioni pubbliche per l’assegnazione di incarichi a titolo gratuito.
Delle citate proposte non se ne fece nulla, si preferì introdurre il concetto di equo compenso, (ma solo nei rapporti tra professionista e imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese) con l’inserimento nella L. 31/12/2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) dell’art. 13-bis, il quale riconosce all’avvocato il diritto ad un equo compenso definito più o meno nei termini delle proposte Sacconi e Damiano, ed estende il riconoscimentoi alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, [cioè ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile – n.d.r] anche iscritti agli ordini e collegi.
Ma l’equo compenso non è la tariffa; a parte le limitazioni soggettive, esso introduce un diritto, non un obbligo, quindi, anche se dichiarato irrinunciabile de jure è rinunciabile di fatto mediante il non esercizio del diritto corrispondente; e la rinuncia (tacita) è priva di sanzione disciplinare.
Adesso le speranze dei professionisti si affidano al Tavolo istituito dal Sottosegretario al Ministero di Giustizia dr. Jacopo Morrone.
I rappresentanti degli Ordini professionali, secondo la fonte citata all’inizio, hanno avanzato proposte dirette a:
• trasformare l’equo compenso, da diritto rinunziabile dal professionista, ad obbligo, se del caso disciplinarmente tutelato;
• ampliarne l’ambito di applicazione eliminandone ogni limitazione di carattere soggettivo.
In pratica il ritorno al perduto regime tariffario.
Il Sottosegretario Morrone, ha manifestato l’intenzione di pervenire, entro la fine dell’anno alla predisposizione ed approvazione di un apposito provvedimento legislativo.
E così sia! (Nella speranza che le istanze degli Ordini Professionali vengano accolte)
- 14 giugno 2017 (atti Senato n. 2858);
2. 11 luglio 2017 (atti Camera 4582);