La Suprema Corte ritorna sui doveri del notaio

Con la sentenza n. 25919, del 7 maggio 2019 della III Sez. Civile la Suprema Corte ritorna sui doveri del notaio.

L’occasione è data dalla vertenza promossa da una società che, con atto notarile del 2010, ha acquistato un terreno a carico del quale, secondo il Certificato di Destinazione Urbanistica rilasciato dal Comune competente, “non emergevano vincoli o servitù sul terreno“; la società nell’aprile 2011 ha iniziati i lavori di costruzione di un fabbricato sulla base del permesso di costruire rilasciato dallo stesso comune, permesso che però è stato annullato dal giudice amministrativo, per l’esistenza “di un vincolo non aedificandi , risalente al 1963, costituito sull’area interessata dalla richiesta del titolo edilizio, a favore dell’amministrazione comunale“.

Di questo vincolo una traccia si trova, in un atto del 13.12.1965, con il quale il dante causa del dante causa della società attrice aveva acquistato il terreno oggetto del contratto del 2010, in una postilla del quale si precisa che il terreno era “per la maggior parte non edificabile, giusta piano regolatore“.

In pendenza del giudizio amministrativo la società acquirente incarica il notaio rogante di approfondire la questione e questi, nell’ottobre 2011, ribadiva che non risultavano ostacoli d’inedificabilità.

A seguito dell’annullamento del permesso di costruire, la società attrice chiama in causa, il venditore, il Comune competente e, naturalmente, il notaio rogante dell’atto di vendita nel quale si attestava che “il terreno ha caratteristiche risultanti dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di …

Il notaio rogante è stato scagionato già in primo e secondo grado.
In particolare la Corte d’Appello ha rilevato, con riferimento al contratto del 1965, sopra richiamato, che “l’obbligo professionale d’indagine del notaio è temporalmente limitato al ventennio precedente l’atto da rogare“.

La decisione della Corte di legittimità è interessante perché esamina l’attività notarile e i conseguenti doveri sotto due punti di vista:

  1. quello connesso alla specifica attività del notaio quale pubblico ufficiale istituito “per ricevere gli atti tra vivi … ” (art. 1 legge notarile);
  2. quello connesso alle eventuali prestazioni cui si è obbligato nella sua qualità di professionista dotato di particolari competenze tecniche; in pratica nella sua qualità di consulente che può essere connessa con la prima ma non nel caso di specie nel quale la consulenza è richiesta a rogito già concluso.

In ordine al primo punto (doveri del notaio in quanto tale) la società ricorrente aveva eccepito, nel giudizio di legittimità, che il notaio, contrariamente a quanto affermato dalle corti di merito “sarebbe tenuto ad effettuare verifiche, controlli e indagini che vanno oltre il ventennio, poiché esistono vincoli ed oneri che perdurano nel tempo e non si estinguono con il decorso dello stesso (ad esempio, oltre al vincolo di asservimento, il vincolo di fondo patrimoniale, i vincoli artistici e paesaggistici, i vincoli di parcheggio obbligatorio)e si dovrebbe aggiungere “le servitù”.

Su questo punto la Corte di legittimità nulla dice a proposito dell’intervallo temporale al quale il notaio deve estendere le sue indagini, con ciò stesso confermando quanto affermato dalla Corte d’Appello e quanto ai suoi doveri li precisa in questi termini: “il notaio, nel prestare il suo ministero per gli atti di trasferimento immobiliare, è tenuto a predisporre i mezzi di cui dispone, in vista del conseguimento del risultato perseguito dalle parti, impegnando la diligenza ordinaria media rapportata alla natura della prestazione. La sua opera, pertanto, non può ridursi al mero accertamento della volontà delle parti e direzione della compilazione dell’atto, ma deve estendersi a quelle attività, preparatorie e successive, necessarie in quanto tese ad assicurare la serietà e la certezza dell’atto giuridico posto in essere
Ne consegue che per il notaio, richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene … costituisce un obbligo derivante dall’incarico conferito dal cliente …
[Nella specie è risultato che il notaio aveva correttamente eseguito le verifiche delle risultanze dei registri immobiliari n.d.r.]

In ordine al secondo punto (doveri del notaio in quanto consulente) la società attrice ha sostenuto che il notaio avrebbe dovuto verificare l’inesistenza di limitazioni ad edificare esaminando l’atto del 1965 sopra citato che conteneva l’accenno al vincolo d’inedificazione.
Su questo punto la Suprema Corte ha riconosciuto l’inadempimento del notaio al proprio obbligo di diligenza nell’espletamento dell’incarico di consulenza, sostanzialmente per aver affermato che non risultavano ostacoli all’edificabilità, non risultando la trascrizione dell’atto di asservimento, trascrizione che, però il Giudice Amministrativo ha ritenuto irrilevante ai fini dell’opponibilità ai terzi del vincolo.[all’epoca cui si riferiscono i fatti l’art. 2943 c.c. primo comma non conteneva il testo del n. 2-bis che impone la trascrizione dei contratti aventi ad oggetto diritti edificatori …-n.d.r.]
Il notaio, afferma la Corte, in relazione al caso concreto, una volta avuto contezza dell’esistenza di un vincolo di asservimento avrebbe dovuto approfondire la questione effettuando le opportune indagini e gli approfondimenti, prospettando al cliente, quale ulteriore elemento di valutazione, la questione della irrilevanza della trascrizione del vincolo ai fini della sua opponibilità ai terzi.
Sul piano generale la Corte afferma il principio che “Il professionista che accetti l’incarico di svolgere attività stragiudiziale consistente nella formulazione di un parere, si obbliga di offrire tutti gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al cliente di adottare una consapevole decisione

Tuttavia il danno reclamato dalla società attrice non è stato ritenuto imputabile al notaio – consulente, in quanto la decisione dell’acquirente d’intraprendere i lavori di costruzione non è derivata dal parere espresso, ma dal precedente rilascio del premesso di costruire

Alcune osservazioni personali in margine alla sentenza.

  1. La “diligenza ordinaria media” richiesta al notaio è locuzione dai contorni quanto mai incerti che rischia di essere specificata, a posteriori, e col senno di poi.
  2. La limitazione delle indagini al periodo precedente il ventennio dall’atto da stipulare, non mi pare che sia legislativamente prevista, in linea generale, né nella legge, notarile, né nel codice civile, né altrove; se ne trovano riferimenti in connessione a casi particolari, come nell’art. 567 c.p.c. in relazione all’istanza di vendita.E’ il prodotto di una prassi, legittimata da una giurisprudenza consolidatasi dopo alcuni oscillamenti iniziali, che tiene conto da un lato della necessità di escludere la c.d. probatio diabolica, dall’altro del termine di estinzione delle ipoteche (venti anni), del compimento dell’usucapione ordinaria (anch’essa ventennale), che comporta l’acquisizione della proprietà sulla base del possesso, e del principio di presunzione di possesso intermedio (art. 1142 c.c.) per cui chi possiede attualmente ed abbia posseduto in tempo più remoto si presume aver avuto un possesso ininterrotto e, nel caso di possesso a seguito di una vendita il possesso remoto è provato dal relativo contratto.
    Ma proprio perché si tratta di prassi, potrebbe avere sviluppi “evolutivi“, come la vicenda dell’art. 2935 ci ha recentemente insegnato.
  3. L’osservazione della società attrice, nel caso oggetto della sentenza, relativa all’esistenza di vincoli ed oneri che non si estinguono con il decorso del tempo non è banale; tuttavia quelli indicati dalla società sono certificabili dal soggetto che li ha imposti, se si tratta di soggetti pubblici o, come nel caso del fondo patrimoniale, dall’estratto dell’atto di matrimonio oltre che dalla trascrizione.
    Per le servitù il discorso è diverso, sopratutto per le servitù negative e non apparenti (tipico il caso della servitus altius non tollendi).
    Qui o si tiene fermo il principio dell’indagine ventennale e si accolla il rischio al cliente o si rinnega quel principio e si accolla al notaio l’onere della probatio diabolica.

Eppure ci sarebbe il rimedio che, infatti, è stato applicato all’abrogato istituto della dote e vige tutt’ora per le iscrizioni ipotecarie; quello della durata temporale di efficacia della trascrizione, salvo rinnovo prima della scadenza, sistema che gioverebbe alla certezza del diritto e che, infatti, l’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69 – “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile” – ha introdotto in tema di trascrizione della domanda giudiziale, del sequestro conservativo e del pignoramento su immobili, aggiungendo, nel Titolo I del Libro VI del codice civile, gli articoli 2668-bis e 2668-ter, che ne limitano nel tempo l’efficacia.

Resta il problema delle servitù costituite per destinazione del padre di famiglia o acquistate per usucapione; ma, per fortuna, questi modi di costituzione riguardano solo le servitù apparenti e l’apparenza è costituita da una situazione di fatto del fondo servente, il cui accertamento richiede ispezioni locali che, almeno per il momento, non rientrano tra i doveri del notaio né, per la verità tra le sue competenze tecniche.

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