Le nullità “urbanistiche” – una sentenza della Corte di Cassazione S.U.

Con sentenza del 22 marzo 2019, n. 8320, le sezioni unite della C.C. hanno fatto chiarezza sulle nullità “urbanistiche” degli atti di trasferimento di immobili; materia fondamentale, al fine dell’interesse generale, dell’ordinato esercizio della funzione notarile nelle sue responsabilità civili e professionali (art. 28 legge notarile).

Si tratta delle nullità previste dagli articoli 17 e 40 della L. 47/1985, il primo trasfuso nell’art. 46 del T.U. 380/2001.

Le sezioni Unite sono state chiamate e dirimere il contrasto giurisprudenziale determinatosi anche in Cassazione nell’interpretazione delle nullità previste da quelle norme, tra il tradizionale indirizzo che le assegna all’ambito della nullità virtuale, ed un altro, venutosi a delineare con sentenze innovative dal 2013, che le assegna a quello delle nullità sostanziali.

La Corte dopo un breve riepilogo della disciplina urbanistica delle costruzioni edilizie, quale si è venuta dipanando dalla legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 150, fino al T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6/6/2001 n. 380 e successiva modifica ad opera del D. lgs. n. 222/2016), concentra la sua attenzione sulle norme (artt. 17, 40 e 46 sopra richiamati) – oltreché sull’art 1418 del codice civile – che disciplinano la sorte dei contratti, intercorsi tra privati, aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali su fabbricati affetti da irregolarità urbanistiche

Dopo una particolarmente approfondita disamina e valutazione, sul piano giuridico ed ermeneutico, del contrasto giurisprudenziale emerso, nel corso degli anni, tra:

– un atteggiamento che giudica della validità dell’atto di trasferimento in ragione della regolarità urbanistica dell’immobile dedotto in contratto, ad onta delle dichiarazioni (o allegazioni) contenute nel documento (teoria c.d. sostanziale);

– un atteggiamento che riconduce le nullità urbanistiche nell’ambito dell’ultimo comma dell’art. 1418 c.c. riconoscendole nella sola ipotesi legislativamente sanzionata consistente nelle mancate indicazioni (o allegazioni) previste dalla richiamata normativa, a prescindere dalla regolarità dell’immobile, che avrebbe rilevanza, per quanto riguarda i rapporti tra le parti, solo sul piano civilistico dell’inadempimento (teoria c.d. formale).

Nel prendere posizione tra queste due interpretazioni la Corte, a Sezioni Unite, privilegia la seconda affermando che la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 “va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c, secondo quanto ritenuto dalla teoria c.d. formale, con la precisazione che essa ne costituisce una specifica declinazione, e va definita testuale, essendo volta a gli atti in essa menzionati” [§ 7.1 e 7.5]; con una precisazione, tuttavia, già presente in altre decisioni sullo stesso argomento: le dichiarazioni rese in atto devono essere veritiere nel senso che il titolo urbanistico menzionato deve essere realmente esistente e riferibile all’immobile oggetto di trasferimento; soddisfacendo a queste condizioni “il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata risttetto al titolo menzionatoin atto”.

Rileva la Corte come le norme sopra richiamate pongono uno “specifico, precetto: che nell’atto si dia conto della dichiarazione dell’alienante contenente gli elementi identificativi dei menzionati titoli [autorizzazioni urbanistiche – n.d.r.], mentre la sanzione di nullità e l’impossibilità della stipula sono direttamente connesse all’assenza di siffatta dichiarazione (o allegazione, per l’ipotesi di cui all’art. 40). Null’altro.” [§ 6.4]

Il riflesso di questa decisione sulla contrattazione immobiliare è stato da altri attentamente esaminato.

Qui interessano alcuni principi interpretativi che le S.U. della Corte enucleano ed avvalorano, anche con riferimento a precedenti pronunce.

  • La rivalutazione del vecchio brocardo di diritto romano “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”;
  • rilevano le S.U. che, se scopo del legislatore fosse stato veramente quello di escludere dal commercio gli immobili affetti da irregolarità urbanistiche, avrebbe potuto perseguirlo “mediante una semplice previsione di nullità degli atti aventi ad oggetto siffatti immobili o d’incommerciabilità degli stessi. Il che non è stato fatto” [§ 6.6]; nell’affermare che la tesi “sostanzialista” non può fondarsi sul comma 2 dell’art. 1418 c.c., osserva il supremo consesso che nella specie, invece, dalla consentita trasferibilità mortis causa degli immobili non regolari urbanisticamente, dalla liceità della loro concessione in locazione, dalla possibilità che siano oggetto di diritti reali di servitù, dalla loro idoneità ad essere oggetto di procedure esecutive individuali o concorsuali, si ricava che l’incommerciabilità degli immobili abusivi non era nell’intenzione del legislatore e che il vizio urbanistico non “possa di per sé solo valere ad integrare le vietate ipotesi d’illiceità e d’impossibilità dell’oggetto o, ancora, d’illiceità della prestazione o della causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume…”[§ 6.8];
  • La rivalutazione della interpretazione letterale là dove si afferma che il principio generale di nullità riferita agli immobili non in regola urbanisticamente che la giurisprudenza c.d. sostanzialista desume da una presunta volontà del legislatore diretta a vietarne il commercio, “trascende il significato letterale” delle norme considerate e “non è, dunque, ossequiosa del fondamentale canone di cui all’at. 12 delle Preleggi, che impone all’interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione”[§ 6.5]. Ciò tanto più in presenza del richiamato “condivisibile principio generale”, affermato in precedenti asserzioni della Suprema Corte, secondo cui “le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti, debbono ritenersi di stretta interpretazione sicché esse non possono essere applicate estensivamente o per analogia ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste” [§ 7]
  • La presa di distanza da quella corrente dottrinaria secondo la quale il quadro costituzionale legittimerebbe “tutta una serie di esiti interpretativi indipendentemente dallo svolgimento di specifici giudizi di legittimità costituzionale ” [Lipari, L’interpretazione giuridica, in Diritto Civile diretto da N. Lipari e P. Rescigno, Giuffrè, 2009, Vol. I, pag. 175] là dove si afferma, richiamando precedenti pronunce della Corte Costituzionale, che “la lettera della norma costituisce il limite cui deve arrestarsi anche l’interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo, infatti, essere sollevato l’incidente di costituzionalità ogni qual volta l’opzione ermeneutica, supposta conforma a costituzione, sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa.” [§ 6.5].