Il Sole 24 Ore del 10 aprile 2020 pubblica un articolo di Dario Acquaro dal titolo “Bonus professionisti: perché anche i notai sono in fila per i 600 €”.
Dall’articolo ricaviamo alcuni dati sconfortanti.
Alla data in cui è stato scritto, erano 353 i notai che hanno chiesto alla Cassa Nazionale del Notariato il bonus di 600 € previsto dal decreto c.d. “cura Italia”, ma secondo stime della stessa Cassa sono 1.012 i potenziali aventi diritto (il 20% degli iscritti alla cassa, [rectius: dei notai in attività; sono isritti alla cassa anche i notai in pensione che non hanno titolo al bonus – n.d.r.])
D’altra parte, secondo i dati 2017 dell’Agenzia delle Entrate, il reddito medio dei notai tenuti agli studi di settore (3793 su 4938) risultava di € 293.200.
Sembrano dati contraddittori. Ma il presidente della Cassa Nardone, intervistato dal giornalista, ricorda che una relazione del Notariato del 2016 aveva già messo in evidenza come scendendo nei dettagli risultasse che:
- per l’11% dei notai in esecisio il reddito netto mensile fosse inferiore a 2.000 euro;
- per il 75% risultasse pari a circa 5000 euro;
- e solo per il 14% superasse abbondantemente quella soglia.
Su questa crisi economica che già affliggeva l’86% del notariato si è abbattuta la crisi da epidemia con una riduzione degli onorari repertoriali del 18% nel primo trimestre 2020 rispetto al trimestre corrispondente dell’anno precedente e del 53% nel mese di marzo 2020, rispetto al marzo del 2019. (vedi prospetti a seguire).
Ritornando ai dati 2017 e facendo un poco di conti e, per semplicità, supponendo che il reddito dell’11% dei notai in esercizio sia pari (e non inferiore a 2.000 €), risulterebbe che il 14% dei notai in esercizio si ripartirebbe il 73% del reddito complessivo.
Questa situazione, pur se non meraviglia raffrontata alla situazione generale dell’economia, se è vero, come risulta dal World inequality report 2018 (il rapporto sulla disuguaglianza nel mondo), che a livello mondiale, tra il 1980 e la data di pubblicazione del rapporto stesso, l’1% più ricco della popolazione ha acquisito il doppio della crescita economica rispetto al 50% più povero, tuttavia difficilmente la si può giustificare con ragioni di merito.
Passando all’analisi di questa disuguaglianza e considerando che i dati indicano come il divario colpisce in genere i notai di più recente nomina esso, secondo l’estensore dell’articolo, solo in parte è spiegato, dal tempo necessario per la formazione di una solida clientela perché ci sono, altri fattori che entrano in gioco: l’andamento dell’economia del territorio in cui la sede notarile è posta, l’ubicazione dello studio, ecc.
In altre parole, la mole di lavoro, su cui incidono molto le peculiarità territoriali, come spiega, nel corso dell’intervista il Presidente della CNN notaio Nardone: «un conto è esercitare in grandi città, da Milano a Roma, o distretti industriali, dove si registrano più vendite immobiliari e operazioni societarie o patrimoniali; un altro esercitare in paesi di pochi abitanti e in zone meno ricche».
Vale la pena di ricordare che il testo dell’articolo 4 della legge notarile prevedeva che nella distribuzione delle sedi notarili si considerasse tra gli altri parametri anche la produttività di un minimo reddito per il professionista, reddito garantito solo sulla carta, perché poi il professionista se lo doveva guadagnare con la sua capacità di lavoro e di aquisizione della clientela; questo riferimento è stato abrogato dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205, che ha modificato il citato art 4
Su questa abrogazione Asnnip si era già espressa su questo sito con due articoli ai quali si rimanda:
- il primo è della nostra redazione in data 21/9/2015, quindi di poco successivo alla presentazione del disegno di legge sulla concorrenza;
- l’altro del nostro Presidente in data 23/10/2017 a giochi ormai fatti, visto che la legge 205 (sulla concorrenza) è del 27 dicembre 2017
E non vale a compensare l’eliminazione della minima redditività della sede la toppa dell’ultimo momento per cui il 2° comma del richiamato art. 4 ora recita:
“La tabella che determina il numero e la residenza dei notai deve, udite le Corti d’appello e i Consigli notarili, essere rivista ogni sette anni, sulla base dei criteri indicati al comma 1 e tenuto anche conto della variazione statistica tendenziale del numero e della tipologia degli atti ricevuti o autenticati dai notai, e puo’ essere modificata parzialmente anche entro un termine più breve, quando ne sia dimostrata l’opportunità”
Toppa che mostra la sua frettolosa formulazione nel confronto con il sistema tedesco secondo il quale è previsto che la revisione del numero dei Notai avvenga secondo criteri di efficienza del servizio, rispetto alle esigenze dei cittadini, cosicché “un numero sufficientemente alto di atti notarili prodotti in un determinato territorio del Land giustifica l’aumento del numero dei Notai del distretto solo se contemporaneamente anche altri parametri indicano tale necessità come permanente e non temporanea”.
È chiara la diversità di prospettiva da cui si guarda la distribuzione delle sedi notarili nei due sistemi: mero dato numerico da un lato ed “efficienza del servizio, rispetto alle esigenze dei cittadini” dall’altro, dove le esigenze dei cittadini verosimilmente riguardano non solo la tempestività della prestazione professionale, ma anche la sua qualità.