Un signore, affetto da malattia cronica, si reca presso la Asl di sua competenza per una visita di controllo.
Si siede nell’anticamera della sala nella quale avrebbe dovuto essere visitato e, quando arriva il suo turno, si sente chiamare con il suo nome di battesimo.
Poiché sa di avere nome e cognome praticamente intercambiabili, ritiene di dover chiarire quello che, pensa, essere un equivoco ma, con sua grande meraviglia ed anche ilarità, si sente rispondere che l’uso del nome, invece del cognome non era dipeso da un equivoco, ma da una disposizione impartita a medici ed infermieri di non usare il cognome per ragioni di riservatezza!!!
All’interdetto paziente, sono ritornati alla memoria i giorni della propria infanzia ed adolescenza, vissuti in un piccolo paese della Campania, tra gli anni trenta e quaranta del secolo scorso, nel quale la parola “privacy” era sconosciuta (e, comunque, sarebbe stata impronunciabile per editto sovrano) e il più modesto termine “riservatezza” era confinato nell’ambito dei sentimenti e del pudore; un tempo ed un luogo in cui ognuno conosceva tutto di tutti, nel quale le abitazioni private, con le porte perennemente aperte durante il giorno, divenivano vasi comunicati per tutte le persone del luogo, ma che in cambio offriva una solidarietà per cui nessuno si sentiva mai veramente solo, specie nel bisogno e nel dolore.
Oggi abbiamo la “PRIVACY” spinta fino al limite del ridicolo, formalmente garantita da un’apposita autorità, ma sostanzialmente violata come mai nel passato. In cambio abbiamo perduta la solidarietà, cosicché ci troviamo, come si dice, con efficacissima sintesi meridionale, “cornuti e mazziati”
E scusate lo sfogo di un vecchio che non riesce ad adattarsi ad un tempo che non sente più come proprio.